You are currently browsing the monthly archive for gennaio 2007.


    Eccomi qui, caro cugino, di nuovo ti scrivo e con te conferisco dopo lunga assenza di scripta che manent, magari, ma tu poi le butti, forse, ecco: mentre tu starai facendo un cazzo come al solito e io qui a lavorare e girare come un matto, per le mie solite parti slave.
Insomma ero lì dopo un tour de force lungo lungo per Cracovia e dintorni, che poi gli affari vanno mica più tanto bene, come ben sai, e sono poi andato a casa da quel cristo dell’amico Hugo Goumèr, detto il meschino, per rinfrancarmi, nella città di Rzeszow, che non è un bel posto.
E debbo dire che Hugo ha una moglie di nome Luzyna, però, ch’è na gran bella femmina lentigginosa co’ capelli rossi fluenti, tra l’altro, quindi condisce il variegato pasto con gradevole vedere; ha cucinato bene, mica ‘ste solite porche robe polacche, ma un bell’insieme di verdure saltate alla cinese con una sorta di stufato assortito di maiale niente male. E lì ce ne stavamo smangiazzando e sbevazzando gaudenti quando la Luzyna fa a Hugo:
– Perché non dici a Ernesto di tuoi amici ebrei di Llvov che lui gli interessa cose misteriose di giudei strani!?
– Ahh, sì – subito sorride ed ammicca Hugo –
Sai ti volevo portare, guarda, uno di questi giorni, anche domani, magari a Lwòw che poi è in Ucraina e si chiama L’viv, che una volta i tedeschi la chiamavano Lemberg, che poi voi non so cosa dite, e i russi la dicevano Lvov, il che è tutto un casino perché una volta era in Galizia sotto gli Austroungarici…..
– Quella città lì noi la denominiamo Leopoli – gli ho ribattuto subito io – e ci sono già stato almeno tre volte per il lavoro, che tu Hugo mi consideri sempre un ignorante ed a volte conosco più io ‘sti posti di te, per dire……
No, volevo dire proprio di quello che parlava Luzyna, di un mio conoscente, cioè, in Lwow, il signor David Brudinsky, che fa il trafficante di pellicce ed altro, roba che manda negli USA, ha tutto un giro con suoi parenti che sono là, beati loro, ed è un ebreo che conosco da un bel po’, e al tempo della guerra era bambino e si chiamava Erbstein, poi di nascosto gli hanno cambiato cognome e i suoi genitori l’hanno portato verso i russi, per scampare alla strage, una fuga terribile…. Insomma è un tipo strano mistico, mezzo pazzo, della società dei Hassidim, che so che ti interessavano. Ché anche tu magari sei un po’ matto, vero…?
– Fanculo Hugo
– gli riposto io –
andiamo a vedere che cosa mi proponi, magari domani, sì, andiamo in un giro di pagliacci o di mentecatti del cazzo, che tu Hugo di ‘ste cose non capisci ‘na sega….
Sempre a dire porcherie voi due – ha sentenziato seria Luzyna alzandosi; ed ha ragione perché io parlo troppo male, ma i polacchi, ti giuro, peggio di me sono.

Tuttavia la serata finì in letizia e l’indomani mattina presto ce ne siamo partiti con la vecchia Opel di Hugo per l’Ucraina che poi a Leopoli ci sono un centocinquanta di kilometri, non prima di esserci forniti di due scatole contenenti bottiglie 6 di Vermouth Martini rosso (onde ungere, al confine, ruote di capitano finanziere ucraino, certo Prazyolonic, complice in pasticci vari con Hugo)+ bottiglie 6 di vini rossi piemontesi onde alleviare le sofferenze dei Hassidim (così si dice…).
Fatto sta ed è che abbiamo fatto un viaggio di merda perché la strada mica è tanto bella e poi ‘sto vigliacco di Prazyolonic ci aveva tutte delle sue questioni da cioccare con Hugo che io ne avevo due palle così in quella casermetta piena di fumo e puzza di brodo di cipolle e cavoli, porcamiseria. Meno male che c’era una militessa ucraina che mi ha fatto un caffè e mi chiedeva dell’Italia e del papa e io le ho regalato una cartolina, e poi mi son vergognato.
Però come tutti sanno Lvov o L’viv, che sia, fa un gran bel vedere, ed è anche patrimonio UNESCO, e ha deliziose chiese barocche dalla giallina bella facciata, e n’infilata di signorili edifici ( un po’ scrostati, per dire) testimonianti l’antico splendore di Leopoli: la città del Leone, per fortuna è stata risparmiata dai bombardamenti della guerra, però non dalle stragi: ti faccio presente che qui prima del conflitto c’erano 200.000 ebrei e adesso sono in 200/300. Ecco, uno di questi superstiti è David Brudinsky già Erbstein, della residua comunità Hassidim di Leopoli.
    Cioè, caro Mario, io sono andato lì perché speravo di vedere ‘sti famosi prodigi che facevano i Hassidim, quelli che diceva Martin Buber in quel bel libro, e speravo di vederli danzare e cantare, tipo dervisci, intorno ad una lanterna col fantasma del loro Ba’al Sem Tow, e mentre la danza andava lo spirito divino, cheneso, manifestarsi e loro che andavano in estasi.
    Io, come ben sai, essendo appassionato, se non malato, di estasi sono andato lì apposta.
Allora: siamo entrati nel pomeriggio, dopo il combino e appuntamento con David, ch’è un bel tipo robusto con barbetta, sui settanta, in una stanza gialla quadrata con qualche stampa antica, di una casotta vecchia e bassa in periferia: la c’erano già riunite circa dodici persone, maschi s’intende: tutti i Hassidim del luogo o quasi, tutti col suo cappello nero e anche cernecchi, (che non mi piacciono niente). Ci han dato due sedie tutti gentili, poi ci hanno sistemati in un cantuccio di questa sala vicino ad un tavolino; poi ci ha fatto cenni di capo un tipo venerando con barbone bianco che sembrava Mosè, ed esso è un maestro di circa novantanni detto Joaquim Bar Yochày, mi era simpatico: aveva gli occhi che ridevano.
La storia è andata così: il rabbino capo ha salmodiato un suo inno, non male, poi ha acceso una menorah, ha ringraziato tutti e si è messo a sfogliare un librone rilegato in cuoio, ‘na meraviglia. Il fatto è che il maestro leggeva e parlava solennemente un po’ in ebraico e un po’ in yiddish e io non capivo un tubo, se non che il solertissimo David vista la mia crassa ignoranza mi sussurrava traduzioni quasi simultanee.
Insomma questo venerabile Rabbì Joaquim andava spiegando il fatto di Giona il profeta che si rifiutò di seguire la chiamata del Signore e per questo fu punito e gettato in mare dai marinai ed ingoiato dalla balena o mostromarino, cos’eranonso.
Poi, sempre il maestro prendeva degli altri librazzoni e leggeva commenti antichi sul fatto, cose di midrashim, commenti di antichi saggi e studiosi della torah, e poi si sono messi a discutere in ordine: e chi Giona così e chi Giona colà e il Signore volle metterlo alla prova e lui rifiutò la chiamata, ma la chiamata come la si sente, e com’è la voce del Signore, e perché Giona provò pentimento e perché gli assiri di Ninive andavano salvati, che non erano del popolo eletto? E perché Giona voleva lo sterminio del popolo di Ninive e non capiva un cazzo? Insomma una barba pazzesca, mi veniva il nervoso.
E poi a un certo punto un tipo scalmanato alzava pure un po’ la voce, ma il Rabbì l’ha messo a posto, si è andati avanti per due ore così di botta e risposta che io ci avevo già il nervoso o tremito nelle gambe. Poi ho visto che il maestro ha chiuso il librone, meno male, e si è alzato in piedi e con le mani ha invitato al canto tutta la compagnia hassidica ed hanno intonato un bell’inno antico melanconico che sapeva di Balcani ed Oriente e antiche sinagoghe perdute nelle steppe, che mi è venuta quasi una commozione.
Se avessi saputo le parole cantavo anch’io: quel cretino di Hugo, no.
Non ho visto lo spirito divino aleggiare, ma fa l’istèss, sono miei sogni.
Però, dopo che Rabbì Joaquim ha spento la menorah, mi sono fatto avanti e gli ho detto in tedesco: Maestro, io sono un infedele, però so che voi siete un sant’uomo e da uomo peccatore e pure incredulo quale sono vi dico che una volta in Mongolia un monaco mi ha detto: La strada è dentro di te, non c’è niente fuori, solo ombre….
Lui mi ha guardato fisso, ha posato le mani sul testo antico e poi mi ha risposto sorridendo: Figlio, l’uomo che hai incontrato aveva ragione: è dentro di noi che risuona la voce del Signore….
Ahhhh, – ho fatto io e non ho insistito, anzi ho portato sul tavolo la scatola con le bottiglie e l’ho scoperchiata e tutti hanno esclamato: Oooooooooohhhh, come bambini.
E poi si sono messi in tavola i bicchieri e si stappava, e uno è andato pure nel retro e ha portato dei pasticcini col sesamo e andava tutto benissimo, belle facce allegre, niente più Giona. Ma io mi sono appiccicato al Rabbì Joaquim che volevo spremerlo un po’ mentre beveva.
Egli ho detto dandogli un colpetto col gomito:
Maestro, ma mentre venivo qui e scendevo con David Erbstein dalla macchina del mio amico Hugo mi si è incastrato un anello del portachiavi che porto alla cintura, nella sfondata tappezzeria della sua vecchia Opel, e non riuscivo a staccarmi, ed uscire, poi ho dato uno strattone e via: mi sono liberato, Hugo ha protestato, ma io ero fuori finalmente ed ho avuto come una paura, una sensazione tragica che da quell’attimo di indecisione dipendesse la vita mia…..Volevo dirvelo….
Hai fatto bene, figlio – mi fa lui serissimo –
Devi sapere che nei tempi bui e tristi della persecuzione, la Shoah, con i miei genitori, io fui catturato da perfidi nazionalisti ucraini che ci consegnarono ai tedeschi. Dopo una settimana di campo di prigionia, ci cacciarono su di un treno merci e ci avviarono verso la Polonia. Io avevo capito tutto, cioè che saremmo andati verso sicura morte e decisi subito di forzare la porte del vagone: feci di tutto, ci industriammo con dei rottami e con mio fratello e mio cugino riuscimmo ad aprire un varco nella porta, ma il treno andava veloce e io volevo buttarmi fuori lo stesso, tutti gridavano terrorizzati, i miei, i parenti, gli amici, che non avevano coraggio. Io ci misi tutto la mia forza d’animo e feci per lanciarmi, ma rimasi impigliato nel portellone, per una cucitura della giacca mia sdrucita…Detti uno strattone terribile alla giacca che si stracciò ed io fui fuori, fuori. Rovinai tra sterpi e sassi e ghiaccio e, mal ridotto e ferito, mi salvai. Gli altri no, non tornarono più, nessuno, nessuno saltò…. Come vedi, per la decisione di un attimo, di un secondo ho potuto salvare la mia vita, forse lo volle il Signore…… Tu hai avuto come un’avviso……secondo me……
Poi ha alzato il bicchiere e l’ha baciato al mio, mi ha passato un braccio sulla spalla e io non ho ben capito, e ci penso e ci penso e non so cosa dirmene.
Ti abbraccio
Tuo Ernesto

foto di EUS

ll quadernetto si trova sotto le amorevoli cure di Eus che lo ha messo in pose consone. L’attuale ospite del quaderno, inoltre, benemerita del progetto, sta passando allo scanner le pagine riccamente istoriate che lo compongono. Mancano ancora soltanto 4 indirizzi ed il viaggio sarà finito (sempre che riesca a contattare queste persone per avvisarle dell’arrivo). Poi….si vedrà.

Segnalo, a margine, che il Quaderno è stato segnalato nel bellissimo blog di Simonetta Capecchi, che di taccuini da viaggio disegnati se ne intende.


E mi fa: Vieni che ti devo parlare di una cosa….
Questo è avvenuto una settimana fa.
Poi lui è partito, l’ho accompagnato all’aeroporto di Caselle, il giorno dopo, al mattino prestissimo per il volo di Francoforte ed è stata una cosa melanconica, abbastanza, poi di lì lui volava a Kiev.
Cioè, lui mi ha chiamato il giorno prima e mi ha detto che aveva ancora un po’ di ore libere prima di riprendere il lavoro, i suoi giri folli per il chissadovè, con i suoi cataloghi e depliants e pc portatile e due cellulari.
Ci siamo trovati alle ore 10 a.m. in centro vicino a un caffè di Via Garibaldi; Ernesto teneva una faccia aggrondata montata su un impermeabile trench imbottito verde, a doppio petto, che aveva l’aria di un detective da Chandler e ci ho detto, tanto per smuoverlo dalla smorfia:
– Mi sembri Marlowe, Nesto… ma qui è mica Los Angeles…sai?!
Lui mi ha risposto il solito suo volgarissimo Fanculo, che ormai io mi ci sono abituato, quasi, ma non del tutto, specie se ha le palle in giostra vuoi umori nerastri per il fegato.
Poi, senza altro banfare, si è messo ad andare di lena verso Piazza Castello e senza chiedermi un parere o miei eventuali interessi: io dietro come un pinguino. Gli sono stato a ridosso per quasi cento metri che dovevo fare uno slalom incredibile tra i passanti della zona pedonale e lui a schivare le persone che qualcuno l’ha pure guardato di brutto. Allora ho accelerato, mi sono avvicinato, l’ho preso per la manica sovrabbondante del suo gabbano nuovo e gli ho detto:
– Ma sei tutto stupido, oggi…..Ma cos’hai, cristo?! Ma guarda se mi tocca inseguire un coglione di cugino come te neanche fossi Kim Basinger, porcaeva!!
Lui si è bloccato, sì, di brutto e mi ha fatto gli occhi sbuzzati da pesce tipo cernia, poi ha sillabato:
– Ho deciso, Mario, mi sono deciso, ho telefonato a Aldo egli ho detto che a maggio mi metto in pensione, ho deciso, deciso, era ora…cazzo!!
– Era ora, sì, che era ora, ooooh,con tutte le volte che te l’ho detto, che quasi non ci credo…siabenedettoilcielolaterrainogniluogo…
– E’ che Aldo si è incazzato, lo sapevo che a lui veniva lo spago, perché nessuno dei nuovi ha l’esperienza mia della Slavonia completa tutta sana sana e l’Asia…Chi di loro andrà in Cina che è il grande nuovo orizzonte economico mondiale, chi venderà rubinetti classici, di design, ai cinesi?? Eeehh, ti dico io….eeehhh?? Capito, domani parto per l’ultimo viaggio lungo, sto via più di un mese. Vado a Kiev, poi di lì a Minsk, se non faccio prima una tappa a Odessa, poi vedo…Vedo se andare prima a San Pietroburgo, poi a Mosca, poi a Irkustk poi a Taskent poi a Askabad poi a Novosibirsk, di nuovo su, poi mi rifermo un po’ a Kars, nel Xighiang, ecco. Poi torno e basta….e basta…hai capito? Poi da mezzo marzo fino a maggio faccio lavoro solo qui, tra Polonia e Belgio, Olanda e basta…Hai capito o no?!
– Ho capito sì, cazzo, era ora….

– Era ora o non era ora, non lo so: però vado in pensione….
Tutt’a un tratto, finita la sparata e la faccia si era un poco distesa, ha ripreso a camminare veloce, poi si è fermato di colpo, mi ficca un dito duro sul petto e fa:
– Perché vedi, mio caro Mario, io di liquidazione non prenderò mica tanto sai, anche perché ho interrotto il lavoro diverse volte, lo sai e mica ‘na bella pensione prenderò…ma sono stufo…sono vecchio.
– Oooh..caspita…sei vecchio tu ?! Allora io cosa sono che siamo coetanei, orcaeva!?
– Siamo due vecchi coglioni, ecco…
Io so solo che spero di cavarmela perché so fare di tutto, ecco, però…ti dico…tanto perché mi viene e mi girano le palle, ti faccio una domanda:      Ma quelli lì che stanno nei Palazziromani, al Chigi, alla Farnesina, al Viminale, al Criminale…cosa prendono di pensione poi loro? E di liquidazione…loro…? Era per dire, mica per sobillare te o la plebe!! Tanto loro si trovano nelle Reggie, ormai, perché la nuova aristocrazia ed i loro vassalli dove vuoi che si trovino? In un’alberghetto di provincia tipo Pensione Belvedere? Nemmeno più un Hilton o Sheraton va bene, no: la Reggi dei Borboni, ci vuole. Più che mai adeguata ai nuovi oligarchi ai granduchi ai boiardi boia, ai conti dell’italica politica! Porcaputtanadellamiseria! E poi dicono Putin e la mafia russa….Finisce che sembro un sovversivo…
Gli ho messo una mano sulla spalla, a mio cugino, che era diventato tutto rosso. Io credo che avesse assommato tutta una sua tensione per la decisione presa, con altri rimuginamenti politico sociali dovuti al carattere suo anarcoide.
Allora l’ho preso per il braccio e l’ho menato a Palazzo Madama, quello torinese dico, che l’hanno riaperto e ci sono cose di grand’Arte da lustrare gli occhi e ci siamo proprio beati; per un po’ abbiamo quasi dimenticato il mondo, o certa fetta di mondo, ché del mondo sono pure le opre d’Arte magnifiche che insieme contemplammo, già.

Foto di Epimenide


Siamo andati su in collina.
Presa la mia macchina questa volta, sono passato a pigliare Ernesto e via; ho seguito le sue indicazioni, mi voleva portare per una strada in collina su cui non tornava da molti anni e mi diceva:
– Ho trovato delle cose che ti piacerebbero, ti dico, cose nostre che so…ci sono stato ‘na settimana fa con Gina…
– Ahhhh…..- faccio io –
fate ancora le passeggiate romantiche in collina, mano nella mano…ehh?!
La risposta fu: Fanculo… Mario!
D’altra parte dovevo aspettarmelo, sono un provocatore rompiscatole e delle volte, troppe volte, mi scappa l’ironia se non il sarcasmo. Ma è una vecchia abitudine di famiglia di fronteggiarsi con schermaglie ironiche, battagliarsi con punzecchiature: se non comincio io, attacca lui, tali e quali ai nostri due padri, altroché! La strada era ed è stretta, ripidissima, in certi punti corre tra due muri vecchi di ciottoli e si chiama Strada dei Cunioli alti, che non so cosa sono i cunioli, ma non importa, e guidavo piuttosto cauto che due macchine a fianco mica ci passavano. Guidavo, rombando un po’ con sta mia vecchia Renault diesel, invidiando i ricchi che su di lì ci hanno delle ville, magari antiche, con vista sulle Alpi. Quando è sereno c’è una vista eccezionale, tutte le cime belle in fila coperte di neve di questa stagione, una delle cose più stupende del Piemonte, vi dico.
Era proprio così: limpido e terso e un’aria finissima che ti entra giù per i polmoni che ti lava dentro, magari anche il cuore annerito da smog e da vecchie magagne, dolori.
E siamo arrivati poi su vicino ad una piazzola, però stretta, ed abbiamo posteggiato, e via a piedi, come facevamo una volta quando eravamo giovani, per dire. Si fa per dire, che la gamba è buona abbastanza di tutti noi due cugini, ma l’età non è più verde, no, oggettivamente. Però, insomma, ci siamo messi a camminare di lena, ché la straduzza era in pendenza forte tanto per far vedere alle Alpi che noi siamo sempre lì a guardarle e a sfidarle, magari. Siamo passati vicino a una casa, un palazzotto anzi, rosa antico brillante nel sole, con due cipressi maestosi presso il cancello: un gioiello, vi dico; una volta era un convento, di sicuro: aveva anche una sua piccola campana di bronzo ossidata su un campanilozzo a bordi bianchi. Io me ne morivo dall’ammirazione.
Ernesto commentava con vari monosillabi espressivi e gesti più che significativi di un gergo da me ben conosciuto.
Io me ne stavo zitto e lo seguivo come fedele e tonto cane, tanto non mi diceva niente di cosa voleva farmi vedere.
Lui è fatto così: gli piace fare le sorprese.
Uno lo sa e sta zitto, e marcia.
Poi la strada si è messa ad andare più in piano: finite le ville, qualche coltivo quasi agricolo da invidiare, persino degli olivi, che qui sono tornati dopo secoli, dall’altra parte del selvatico, un boscaccio, sempre bella vista, però, sulla destra. Ernesto si è messo a cercare con gli occhi su lato sinistro ed andava ondeggiando tortuoso, si fermava e riprendeva, facendo smorfie, ed io avevo voglia già di tirargli qualche satira…
Poi si è bloccato, di colpo:
– Ooooh, cazzo! Marioooo… eccoli qua! Oh…ecco sono qua – si è poi azzittito per qualche secondo mentre io accorrevo e ha fatto una smorfia – Ohhh, porcaputtanaeva!! Ma guarda che roba! Solo cinque giorni fa erano tutti bellissimi su e guarda adesso!! Volevamo coglierli con Gina e guarda adesso…guarda adesso, mi dispiace… Mario…orca…!!
È che, sulla sinistra, Ernesto, mentre passeggiava con Gina, aveva trovato delle piante selvatiche di luppolo vivissime, che germogliano solo in primavera, bellissime che noi ci diciamo livertìn o luertìn, a seconda del dialetto, e i loro virgulti o germogli li mettiamo in frittate, risotti, minestre e sono buonissimi teneri e profumati. Il fatto strano era che fossero vivi di questa stagione, i livertìn, segno che il luogo è temperatissimo, infatti vi prosperano palme, olivi e pini marittimi.
Ed Ernesto se la prendeva e smaniava:
– C’erano, cazzo, erano tanti……Un po’ l’hanno colti, un po’ hanno patito….forse ha gelato, ha fatto più freddo in queste due notti, ci volevo fare una frittata….È che c’erano e adesso sono patiti o li hanno colti, porcaeva! Volevo farti una sorpresa…volevo farti….Mario! E’ che non ci sono più. Capito!? Io volevo farti ‘sta sorpresa ricordando come quando eravamo piccoli che andavamo a raccoglierli per la nonna….Ti ricordi che frittata, cazzo! ’Na meraviglia delle meraviglie….Mario!!! C’erano e non ci sono più…. Mario…..
   

Poi abbiamo tirato via a testa china.


Sì, è proprio vero.

E’ tutto vero quello che c’è scritto sopra o sotto, non so, da Pispa.

Non so se c’era, ma forse era lì anche lei, perché eravamo lì in tanti nella sala, eravamo in moltissimi, non so perché, credo che a certe scene magari fondamentali della vita si è in diversi: la famiglia, gli amici, i parenti lontani…………….. è perché uno poi si sente osservato da tutto un giro di gente immaginaria che c’ha dentro, tutta una sfilza di persone che ci portiamo infilate nelle carni, cellule, coi e nei geni, come gli antenati, magari anche le scimmie, per dire; perché in questi fatti qui siamo più bestioni che uomini.

Comunque Ernesto che ha saputo tutto prima da Irina, furente e sofferente, via telefono, mica se l’aspettava sta scappata veloce di Gina, adesso durante le ferie di Natale, lei aveva detto: vado da Armando e Lina a dare una mano che ci hanno la bambina che sta male, che poi sarebbero suoi cognati che stanno a Laigueglia, invece è andata in Polonia. Secondo me è stata stronza.                                             Ma nell’amore di stronzate se ne fanno migliaia, specie per gelosia che è la più gran cazzata, il più brutto vizio del mondo, in questo umano errore c’è tutto il senso del possesso.                                     Per di più vi dico io, meglio essere bestie almeno non sono gelose, secondo:   Ernesto con Irina ci hanno un rapporto platonico, ormai da anni, anzi direi estetico, musicale, artistico, e poi, scusate: Gina un po’ bagascia lo è, ma è brava però, uno non deve fermarsi alle prime apparenze; io so, tuttavia, che se l’è fatta anche con Efisio Orrù, il meccanico di Via Bellezia, ma altro non dico.  

Quella di sopra è la foto che ho fatto io mentre Ernesto declama la frase fatidica a Gina, ecco.     


Quando che la Gina venne a sapere di Irina, fece prima finta di niente.
Uscì dicendo che tornava subito; con una rabbia nera addosso prese la macchina, i guantoni rossi di quando Ernesto boxava, da ragazzo, e a tutta velocità partì verso la Polonia periferica.

Ernesto, non vedendola tornare, dopo le nove scodellò i tajarìn se no scuocevano che era un peccato.
A Cracovia nel frattempo Irina e Gina si scodellavano a vicenda delle gran botte sul muso, e tirate di capelli, e graffi e pugni e morsi anche, che se l’avesse saputo Ernesto si sarebbe pulito la bocca dal sugo.
Per addormentarsi davanti alla tivù dopo un grappino con la mosca, negando tutto di fronte a quella pazza scatenata di Gina.
"E poi" le avrebbe detto un po’ gelido, con una punta di rancore che ancora gli bruciava il cuore "di cosa puoi essere gelosa, tu? eh?"