uno a Piombino ci arriva da bei posti, specie se c’è un bel sole corre per la Maremma e si bea di colli vigne oliveti e mare di là a dritta e poi, se fa la strada della Principessa, ché io e mio cugino Ernesto c’eravamo lì già stati circa trenta e fischi e fiaschi fa, è sempre un bel godere e vedere e respirare e pini ad ombrello e macchia mediterranea e lecci e mirti e due bionde magari albioniche magari teutoniche sfilano in semibikini là sul fianco sortenti pocanzi dalla spuma del mar venusto & onusto di bagliori e fulgori dietro la pineta meravigliosa di Rimigliano:
uno si bea, anzi due, ed essi loro, cioè noi due, dicono le solite fameliche stoltezze maschili di fimmine & mammelle & fianchi & tornitura di coscia e ricordi vari di cui è elegante tralasciare.
Però poi ci troviamo per andare, dopo Populonia, in Piombino, che poi era un’isola una volta, mille e più anni fa, su quella carrozzabile asfaltata unica che là mena e c’è traffico insulso fastidioso sempre e camions tir autosnodati che vanno e vengono e per Sardegne e Corsiche e Elbe, che ti dico io ti saresti fermato prima ma c’era l’impegno, orca, che uno s’è preso con Ernesto per ‘sta stronzata del motore di un idrovolante forse, un rottamaccio schifido rugginoso e meschino, che uno, un suo corrispondente pazzo, ha visto là in mezzo alle montagne di pattume ferroso della Magona d’Italia e delle ex Lucchini ILVA, acciaierie pestilenziali da lustri decenni secoli…
Insomma un motore ed altri parti, forse, dico, può darsi, di un certo idrovolante italiano Imam Ro-43 che veniva imbarcato su incrociatori durante la guerra e da lì sopra il ponte catapultato, e poi via, lo ricuperavano o no, non si sa questo:
Perché la storia è così, che c’è un hobbysta a Borgomanero (che poi sarebbe un parente d’acquisto di Ernesto, cioè un cognato di sua moglie Gina e si chiama Vizzola Gaspare) che ha già un bel pezzo di fusoliera dell’aereo suddetto e si pensava, cioè loro pensavano, di fare un business, di ricostruire restaurare tutto l’aereo e venderlo a un museo, cheneso, americano italiano inglese francese, basta che ci stiano (che poi ce la prendiamo sempre nel frack, per dire…). Perché loro dicono, loro se lo dicono, che faranno un affarone, e io mi sono messo in mezzo per puro scopo masochistico totale di abiezione & espiazione.
Che tanto ci rimetterò dei soldi, lo so già, essendo io sovente finanziatore a fondo perduto di Ernesto.
Comunque e cosunque ci troviamo o ci trovammo lì sulla disgraziata statale che già soffocavamo per le esalazioni di quell’enorme fuoco fumigante che vedesi a tribordo da un cannone o ciminiera dominante impestata perenne che sempre tossici effonde, qual cappa dilagante, e avvelena i circostanti, cittadini piombinesi e non, fin nel golfo di Follonica.
E già tutto mi intristivo nonostante il sole dardeggiante il mezzogiorno incipiente un isola d’Elba trasognante ed un mattino trascorso tra beanti paesaggi. Però (è tutto un però questa vita) fu che alfine trovammo scarno e periglioso parcheggio nel verso del centro e ci ficcammo traversando grosso arco medievale in zona pedonale, che tutto mi consolava, verso una certa rosticceria o friggitoria, già sondata anni prima ove ci ristorammo abbondantemente e ridancianamente con torta di ceci & pesci fritti, a cui va aggiunta abbondante libagione di vin bianco Ansonica, che ristora l’animo ed i nervi esacerbati dei viaggiatori.
Per cui e non, ci trovammo a gingillarci per vecchi vicoli, anche alla ricerca di toilettes & servizi igienici , più volte, finché il deposito infernale non venisse aperto.
Ma venne l’ora fatale ed incombeva là sul fondo, come dice appunto l’Alighieri: la bufera infernal che mai non resta… la quale si mise a sbuffarci in faccia altri fumi & solfi attossicanti, che tutti e due noi miseri coglioni ci sorbivamo, mentre ci introducevamo attraverso un titanico androne verso un’orrida area sterminata, quasi di soppiatto, accompagnati da tal nerastro custode o complice foraggiato da Ernesto di ben € 25, onde ci indicasse il bottino promesso annidato, forse, tra marasmi & montagne di rottami ferrosi rugginosi urtanti e taglienti. Il diavolaccio ci lasciò nei pressi di un cumulo alto almeno metri quattro di rottamaglia mostruosa pesantissima ed informe di aggeggi attrezzature ex-motori ruotismi ingranaggi cerchi e cerchioni.
Il cuore mio tutto si anneriva di atra fuliggine mentre miravo il folle mio cugino tentare una scalata al colossale & immondo cumulo: e lo vedevo eccitarsi sbracciarsi urlacchiare additare dimenarsi sbrindellarsi e insanguinarsi le mani, quasi l’America dei sogni gli si manifestasse dinanzi. Ero disperato e dissennato, o quasi, infatti anch’io mi avventurai tra la catasta.
Due ore trascorremmo come cagnacci bavosi in una discarica di Mumbay rovistando cadendo incespicando menandocela come stolti, insultandoci.
Ridotti a due mentecatti straccioni ci trovammo con un pugno di mosche, ovvero con un pugno di merda, in testa ed in cuore. Del famigerato motore nulla si trovò; consultammo ancora il diabolico ghignante sorvegliante il quale additò all’estremo di uno dei lati del cumulo/tumulo, appoggiato contro una carrozzeria di un’antiquatissimo furgone militare, un coso assai grosso e bislungo che poco avevamo osservato.
Da un esame superficiale il detto residuato risultò essere un motore quasi intero di glorioso, o meno, carro armato sovietico T-34 e lo si dedusse da evidente targa in cirillico che quel fetente di Ernesto decifrò senza indugio.
Era tutto: io mi misi le mani in testa e mi lordai miseramente pure i capelli, il sole andava già tramontando mentre tossivo come un disperato, Ernesto ciondolava tardeggiava trattava col tipaccio, mi occhieggiava, pensando di fare tuttavia l’acquisto del coso brutto informe. Mi interpellò pure sul contributo mio per la cifra indecente che andava profilandosi, essendo il mostro orrendo pesante più di una tonnellata, aggiungasi il trasporto a nostro carico verso ancora ignota destinazione o forse officina in quel di Cavaglià, ove il mio cugino tiene un tugurio di campagna.
Io sbottai in una ignobile sfilza di:
CAZZO CAZZO CAZZO CAZZO CAZZOOO CAZZOOOOO!!!!
Però ci stetti ancora una volta: comprammo il motore del T-34.
Ė questa certo nemesi storica o familiare ché io da piccino spesso spessissimo, continuamente quasi, mi burlavo del povero Ernesto, mio coetaneo, con cui fui allevato; gli facevo scemi dispetti mentre lui era bimbo buonissimo ed ingenuo.
Lui mai mi serbò rancore, anzi, una fiducia notevole sempre ha riposto in me e tanto mi vuol bene che sempre mi imbarca nei suoi affari perigliosi pensando di avvantaggiarmi, di offrirmi occasioni di arricchirmi e, non solo, di fare scoperte interessanti e affascinanti.
Lui e i suoi idrovolanti.
Però, la sera ci facemmo una scorpacciata o magnata pazzesca di pappardelle ad un sugo cacciatorio + due porzioni super e succulente di cinghiale alla maremmana con polenta e funghi + torta di castagne + bottiglie in numero di 3 di Sangiovese ottimo del luogo in Castagneto Carducci preso il casalingo & notevole ristorante "Da Ugo".
Il risultato fu consolatorio momentaneamente e la dormita non eccellente per via degli eccessi, mettiamoci pure che nella camera a due letti che locammo Ernesto russava come un motore di trattore o carro armato: mi svegliai al levar del sole piuttosto incazzato.
Tuttavia la mia accettazione di un fato persecutorio ormai consolidato, e che io accetto, nella persona di mio cugino Ernesto fa sì che l’incazzio dopo poco si ammolli, si diluisca e poi finisca nel mare magnum delle umane miserie.
Ed il mare dolce largo disteso nella bella mattina che mi si aperse di fronte mi allargò il cuore e guardai Ernesto placidamente addormentato con benevolenza, quasi con affetto.
Mario Bianco