Caro Herr Nesto,
non era che ieri, quando ci siamo incontrati sul solito, più che quotidiano, marciapiede della sottostante Via Olivares e tu non eri più lo stesso.
La settimana scorsa andavimi blaterando di rande e di scotte, di plance, di ponti di navi, tolde, fasciami, vascelli, traghetti che solcano invincibili i mari dell’immaginazione; gesticolavi, mi significavi di tuoi sogni singolari in questo aere di autunno già brumoso di tossiche fumigazioni, mi alludevi con quel gesto allargato di spianate sterminate, del larghissimo ponte di una immensa simil/portaerei che tu percorrevi nel sole mattutino e nel vento.
Io ho detto: Già.
Carlo il fotografo ha soggiunto: Eccheccazzo! Manco ‘na bella figa…e che sogno è!?
Tu gli hai preso una mano e gli hai sputato sul palmo.
E te ne sei fuggito.
Non fu un nobile gesto, mio caro, e Carlo, benché rozzo e un poco coglione, si mise quasi a piangere.

Ieri ti ho veduto curvo come ti avesse preso ‘na scossa elettrica da saetta o folgore predestinata all’irriducibile sognatore, ed eri pallido come i pannelli di gesso nell’androncino, qui, di entrata.
Come al solito hai gesticolato, fatto drammatici atti verticali, la mano destra tirava in giù come impugnasse ‘na mannaia o un katana, oppure erano dita a mazzetto agitate verso il basso, indicanti una caduta drammatica.
Hai alluso credo a crolli, precipizi ruinosi cioè segnali opposti ai precedenti.
Dall’orizzontale al verticale, dal sereno/piano alla saetta precipite.
Lo so, l’hai detto:
Il crollo delle borse è il sintomo del mio culo a terra.
Il papa è il beccamorto del mondo occidentale, offizia diabolicamente i riti funebri dell’Illuminismo e della grande illuminazione del 1789
E di nuovo sei sparito.

A volte mi sfuggi davvero, credo di conoscerti, di sopportarti come amico da più di anni cinquanta, ma credo che davvero, oggi come allora, come quando scrivevi su e colle pietre, ti faccia bene un ritiro.
È la campana del tempo che suona di nuovo in te.

Tuo Armando