________________________ I pantaloni dei cartografi virano al rosso e sembrano pigiami. ________________________ I cartografi seguono volentieri la moda come un cane randagio ________________________ segue volentieri l’accalappiacani. … [Manifesto Cartografo]
per amare, capire, vivere…
le proprie radici, bisogna
sempre, oltre che osservare le montagne innevate,(o il mare, il fiume e la campagna)camminare
sui ghiacciai e toccare le stelle col proprio respiro, scavare e scendere nella madre terra lungo il loro cammino.
Quando si tratta di radici
(e migrazioni), tutti i luoghi sono belli e struggenti. Anche i più desolati e dimenticati da dio.
I “tuoi” luoghi sono bellissimi…
ma le mondine cantano ancora?
cammino pe’ dinto ‘e viche
e m’addumanno:
‘e chi è ‘sta città?
‘e ‘o bbene?
voglio bbene a sti pprete?
‘a ggente ca ce campa che’è pe’ mme?
nun songo ‘o proprietà
‘e niente.
nun tengo cchiù famiglia.
nun tengo cchiù frate nè sore.
patemo è muorto.
mammema è morta.
‘a ggente d’o vico è morta,
tutta quanta è morta.
ll’amice mie nun ce ne sta nemmeno uno vivo.
tenevo otto figli: cinche femmen
e tre maschi: songo muorte.
putesse dicere ca pure ‘a morte è morta…a chistu punto, sapite comm’è…vulesse murì pur’i’…
niente, sto ccà, assettate ‘nterra
‘e scale ‘e ‘na chiesa…ma pure ddio è muorto.
So’ gghiuto ‘a stazione d’e ferrovia
‘e piazza Garibaldi me songo ‘nfurmate ‘e ll’orario d’e treni..niente…nun m’è rimasto niente…stanotte m’hanno arrubbato tutto chello ca tenevo dinto a casa…
nun tengo nisciuna proprietà…
e mille ragioni pe me ne fuì,
ma a ccà nun me ne vaco…
forse…songo ‘e radice…
ca tratteneno chella cosa
ca ‘o ccuntrarie d’o cuorpo
è invisibile…
‘e radice e l’invisibilità ‘e ll’anema.
questi luoghi li amo tanto, sì,
il 2 maggio c’era un sole splendido
e son andato fino alle risaie, più a nord, oltre il Po pre vedere il riflesso delle montagne nell’acqua…
Scrpantibus, le tue narrazioni poetiche mi piacciono moltissimo, sono come delle cantate.
Mario,
i tuoi commenti alle mie cantate,
mi sono di grande aiuto e conforto e mi scaldano
lo stomaco e il cuore come quando bevvi per la prima
volta il vin brulé attorno al fuoco sulle montagne di Pinerolo…
Ho vissuto Torino e sono stato vissuto da Torino tre volte:
due realmente e una terza con l’immaginazione…
cioè in uno dei capitoli del mio libro a cui sto lavorando
da anni: i protagonisti una mamma e un bambino,
detto Guaglione, partono dalla città di mare e arrivano in
treno alla stazione ferroviaria…in cerca di lavoro…
Primo contatto:
Era un estate di molti anni fa, a metà degli anni ’70.
Avevo terminato il servizio militare a Palmanova del Friuli.
Tornato a casa, ritrovai i problemi di sempre. Intanto il nostro
gruppo di amici…fuoriusciti dall’’oratorio salesiano…si trovò senza
punto di riferimento…Tornammo di nuovo all’angolo di qualche
vicolo e sotto il bar di Pepe ‘o Nasone. Adesso non avevamo più scuse:
minimo dovevamo andare a cacci di ragazze o fidanzarci…in casa…
a quel punto, avrebbe dovuto accadere qualcosa. O forse dovevamo
rientrare nella più vicina parrocchia e buonanotte ai suonatori. Tra l’altro
non avevamo nessunissima aspirazione né sociale, né culturale né politica.
Ma, qualcosa accade.
…
Quella volta in cui partimmo dalla “nostra” città di mare alla volta di Torino e nello specifico delle montagne di Pinerolo. Per quasi tutti noi, adulti, giovani e bambini era la prima volta. C’erano anche due mamme: una anziana insegnante in pensione, suo marito professore e un’altra di cinquanta, proletaria. In quello spiazzo enorme c’era un casolare di due piani. Quando salimmo sotto il tetto, c’erano un mucchio di maglioni e giacche a vento di varie misure. Invece, a pochi metri dall’’uscio, c’era una fontana semplice ma molto bella con la copertura, dove potevano abbeverarsi anche gli animali. Poi c’era un prato che si estendeva in una lunga e larga distesa di verde. E dietro la costruzione in mattoni salivano le colline e montagne piene di alberi e sporgenze rocciose. Ci colpì il comportamento di uno dei “nostri” bambini. Si chiamava Tonino. Era malnutrito, malaticcio e rachitico, malaticcio. Ma pure sgraziato nei movimenti. Anche quando rideva. Quando rideva si accendeva una sorte di luce che ti conquistava. Così avevano diagnosticato dei medici nostri prima che partissimo per destinazione Torino, più precisamente Pinerolo. In uno spazio sulle montagne organizzato tutto e solo per noi. Tra un giorno e l’altro vedevamo dei cambiamenti in Tonino. Mangiava regolarmente, veniva lavato e vestito e coccolato. Scorazzava correndo alla sua maniera sbilenca in quel prato tra la zona del sole e quella in ombra. Era spassoso vederlo correre, rialzarsi e correre ancora. Da allora lo chiamammo Tonino l’anarchico.
Mentre eravamo su a Pinerolo, fummo, nostro malgrado, partigiani di montagna, noi che venivamo dal mare. Ma quell’esperienza andava nella direzione dei nostri pensieri, l’impegno della militanza e dell’antifascismo. Infatti, dopo aver contattato partiti e associazioni nel nostro quartiere, la scelta cadde su la Mensa Bambini Proletari che ci apparve la più concreta nel prospettare la lotta per i propri diritti come casa e lavoro. In quel periodo, oltre a porre delle domande e sviluppare delle discussioni, ci impegnammo a fare propaganda e lavoro politico sulla legge del divorzio. Fu una bellissima vittoria civile…e dovrei dire politica, ma viste le Englaro, le veline, le bugie e la colpevolizzazione del corpo e del cervello della donna, direi che andiamo sempre peggio.
Comunque…eravamo lì in campeggio, pacificamente con l’ Associazione Mensa Bambini Proletari. Era il ’74 se non ricordo male. Una mattina sui giornali apprendemmo che c’era stato una strage su un treno. Comprati i giornali, anche quelli locali, con i ritagli di foto e i titoli, i bambini fecero una mostra che esponemmo nella piazza del paese. Andò tutto bene, almeno fino alle tre di notte. Da quel momento i fascisti e i razzisti del posto, in piena notte, vennero ad attaccarci con ripetuti lanci di pietre e sassi, prendendo di mira il casolare dove alloggiavamo adulti e bambini. Da quel momento di notte facevamo la guardia e avemmo anche un incontro con il sindaco…a cui mancava un braccio e che sapemmo che era stato un partigiano, democristiano. Sapemmo pure che molto probabilmente tra i lanciatori di pietre c’era anche il figlio del sindaco. Gli dicemmo che ci saremmo organizzati e difeso militarmente il nostro spazio. Il sindaco, a sua volta, prese l’impegno di far presidiare il campeggio di notte da un carabiniere.
Poi accadde una cosa davvero checazz’, cioè sfiziosa…una compagna, se ricordo bene di Pavia o di quelle parti che ci voleva un bene dell’anima, una notte si svegliò per fare pipì…la fece…ma non si accorse, mentre si abbassava il pigiama e la mutandina, di averla fatta sui piedi del giovane carabiniere…che fedele nei secoli a obbedire tacendo, se ne stette buono e zitto.
Grazie, o Scarpantibus,
di questo dono così ricco di “umanità”,
anche piemontese e brutta,
è una storia ricca, magari anche triste,
ma ben narrata,
una testimonianza
12 commenti
Comments feed for this article
04/05/2009 a 22:19
carloesse
Mon dieu!
05/05/2009 a 09:38
pispa
urca, che belle le risaie piemontesi!
05/05/2009 a 11:56
lemmaelabel
quanto li ami questi luoghi?
🙂
05/05/2009 a 19:24
anonimo
radici
per amare, capire, vivere…
le proprie radici, bisogna
sempre, oltre che osservare le montagne innevate,(o il mare, il fiume e la campagna)camminare
sui ghiacciai e toccare le stelle col proprio respiro, scavare e scendere nella madre terra lungo il loro cammino.
Quando si tratta di radici
(e migrazioni), tutti i luoghi sono belli e struggenti. Anche i più desolati e dimenticati da dio.
I “tuoi” luoghi sono bellissimi…
ma le mondine cantano ancora?
Scarpantibus.
Ciao.
05/05/2009 a 19:48
anonimo
cammino pe’ dinto ‘e viche
e m’addumanno:
‘e chi è ‘sta città?
‘e ‘o bbene?
voglio bbene a sti pprete?
‘a ggente ca ce campa che’è pe’ mme?
nun songo ‘o proprietà
‘e niente.
nun tengo cchiù famiglia.
nun tengo cchiù frate nè sore.
patemo è muorto.
mammema è morta.
‘a ggente d’o vico è morta,
tutta quanta è morta.
ll’amice mie nun ce ne sta nemmeno uno vivo.
tenevo otto figli: cinche femmen
e tre maschi: songo muorte.
putesse dicere ca pure ‘a morte è morta…a chistu punto, sapite comm’è…vulesse murì pur’i’…
niente, sto ccà, assettate ‘nterra
‘e scale ‘e ‘na chiesa…ma pure ddio è muorto.
So’ gghiuto ‘a stazione d’e ferrovia
‘e piazza Garibaldi me songo ‘nfurmate ‘e ll’orario d’e treni..niente…nun m’è rimasto niente…stanotte m’hanno arrubbato tutto chello ca tenevo dinto a casa…
nun tengo nisciuna proprietà…
e mille ragioni pe me ne fuì,
ma a ccà nun me ne vaco…
forse…songo ‘e radice…
ca tratteneno chella cosa
ca ‘o ccuntrarie d’o cuorpo
è invisibile…
‘e radice e l’invisibilità ‘e ll’anema.
Scarpantibus.
06/05/2009 a 08:44
cf05103025
@lemmola
@scarpa ‘n ti bus
questi luoghi li amo tanto, sì,
il 2 maggio c’era un sole splendido
e son andato fino alle risaie, più a nord, oltre il Po pre vedere il riflesso delle montagne nell’acqua…
Scrpantibus, le tue narrazioni poetiche mi piacciono moltissimo, sono come delle cantate.
06/05/2009 a 18:27
anonimo
Mario,
i tuoi commenti alle mie cantate,
mi sono di grande aiuto e conforto e mi scaldano
lo stomaco e il cuore come quando bevvi per la prima
volta il vin brulé attorno al fuoco sulle montagne di Pinerolo…
Ho vissuto Torino e sono stato vissuto da Torino tre volte:
due realmente e una terza con l’immaginazione…
cioè in uno dei capitoli del mio libro a cui sto lavorando
da anni: i protagonisti una mamma e un bambino,
detto Guaglione, partono dalla città di mare e arrivano in
treno alla stazione ferroviaria…in cerca di lavoro…
Primo contatto:
Era un estate di molti anni fa, a metà degli anni ’70.
Avevo terminato il servizio militare a Palmanova del Friuli.
Tornato a casa, ritrovai i problemi di sempre. Intanto il nostro
gruppo di amici…fuoriusciti dall’’oratorio salesiano…si trovò senza
punto di riferimento…Tornammo di nuovo all’angolo di qualche
vicolo e sotto il bar di Pepe ‘o Nasone. Adesso non avevamo più scuse:
minimo dovevamo andare a cacci di ragazze o fidanzarci…in casa…
a quel punto, avrebbe dovuto accadere qualcosa. O forse dovevamo
rientrare nella più vicina parrocchia e buonanotte ai suonatori. Tra l’altro
non avevamo nessunissima aspirazione né sociale, né culturale né politica.
Ma, qualcosa accade.
…
Quella volta in cui partimmo dalla “nostra” città di mare alla volta di Torino e nello specifico delle montagne di Pinerolo. Per quasi tutti noi, adulti, giovani e bambini era la prima volta. C’erano anche due mamme: una anziana insegnante in pensione, suo marito professore e un’altra di cinquanta, proletaria. In quello spiazzo enorme c’era un casolare di due piani. Quando salimmo sotto il tetto, c’erano un mucchio di maglioni e giacche a vento di varie misure. Invece, a pochi metri dall’’uscio, c’era una fontana semplice ma molto bella con la copertura, dove potevano abbeverarsi anche gli animali. Poi c’era un prato che si estendeva in una lunga e larga distesa di verde. E dietro la costruzione in mattoni salivano le colline e montagne piene di alberi e sporgenze rocciose. Ci colpì il comportamento di uno dei “nostri” bambini. Si chiamava Tonino. Era malnutrito, malaticcio e rachitico, malaticcio. Ma pure sgraziato nei movimenti. Anche quando rideva. Quando rideva si accendeva una sorte di luce che ti conquistava. Così avevano diagnosticato dei medici nostri prima che partissimo per destinazione Torino, più precisamente Pinerolo. In uno spazio sulle montagne organizzato tutto e solo per noi. Tra un giorno e l’altro vedevamo dei cambiamenti in Tonino. Mangiava regolarmente, veniva lavato e vestito e coccolato. Scorazzava correndo alla sua maniera sbilenca in quel prato tra la zona del sole e quella in ombra. Era spassoso vederlo correre, rialzarsi e correre ancora. Da allora lo chiamammo Tonino l’anarchico.
Mentre eravamo su a Pinerolo, fummo, nostro malgrado, partigiani di montagna, noi che venivamo dal mare. Ma quell’esperienza andava nella direzione dei nostri pensieri, l’impegno della militanza e dell’antifascismo. Infatti, dopo aver contattato partiti e associazioni nel nostro quartiere, la scelta cadde su la Mensa Bambini Proletari che ci apparve la più concreta nel prospettare la lotta per i propri diritti come casa e lavoro. In quel periodo, oltre a porre delle domande e sviluppare delle discussioni, ci impegnammo a fare propaganda e lavoro politico sulla legge del divorzio. Fu una bellissima vittoria civile…e dovrei dire politica, ma viste le Englaro, le veline, le bugie e la colpevolizzazione del corpo e del cervello della donna, direi che andiamo sempre peggio.
Comunque…eravamo lì in campeggio, pacificamente con l’ Associazione Mensa Bambini Proletari. Era il ’74 se non ricordo male. Una mattina sui giornali apprendemmo che c’era stato una strage su un treno. Comprati i giornali, anche quelli locali, con i ritagli di foto e i titoli, i bambini fecero una mostra che esponemmo nella piazza del paese. Andò tutto bene, almeno fino alle tre di notte. Da quel momento i fascisti e i razzisti del posto, in piena notte, vennero ad attaccarci con ripetuti lanci di pietre e sassi, prendendo di mira il casolare dove alloggiavamo adulti e bambini. Da quel momento di notte facevamo la guardia e avemmo anche un incontro con il sindaco…a cui mancava un braccio e che sapemmo che era stato un partigiano, democristiano. Sapemmo pure che molto probabilmente tra i lanciatori di pietre c’era anche il figlio del sindaco. Gli dicemmo che ci saremmo organizzati e difeso militarmente il nostro spazio. Il sindaco, a sua volta, prese l’impegno di far presidiare il campeggio di notte da un carabiniere.
Poi accadde una cosa davvero checazz’, cioè sfiziosa…una compagna, se ricordo bene di Pavia o di quelle parti che ci voleva un bene dell’anima, una notte si svegliò per fare pipì…la fece…ma non si accorse, mentre si abbassava il pigiama e la mutandina, di averla fatta sui piedi del giovane carabiniere…che fedele nei secoli a obbedire tacendo, se ne stette buono e zitto.
Scarpantibus.
Ciao.
06/05/2009 a 22:50
cf05103025
Grazie, o Scarpantibus,
di questo dono così ricco di “umanità”,
anche piemontese e brutta,
è una storia ricca, magari anche triste,
ma ben narrata,
una testimonianza
07/05/2009 a 16:50
aitan
piacemi molto assai la panoramica della seconda foto
07/05/2009 a 18:49
cf05103025
grazzie assai o Aitàn :-))
07/05/2009 a 21:56
cristinabove
che posti e che foto!
la seconda sdraiata in uno specchio, proprio bella!
08/05/2009 a 22:09
cf05103025
sì, Cristina, grazie,
questi posti sono davvero belli
e poco conosciuti, forse è un bene, non so