è una cosa così
che non capita mica frequente
a tutta la gente
è una cosa così che ti pizzica il culo
a volte ti scalcia da mulo
ti brucia un poco i precordi
ti sminuzza i ricordi
ti strappa la giacchetta
quando hai più fretta
è una cosa così
un po’ scema
un po’ calda
malata di tepore di sapore di more
un po’ amare piccanti
talvolta strazianti
da sterpacuore
MarioB.
10.1.2006
25 commenti
Comments feed for this article
27/08/2006 a 11:45
anonimo
bella fotografia di grovigli umani in cerca di qualcosa di perduto.
Tu sei Lui, Lei , il mare o la superficie su cui siete seduti?
Magda
27/08/2006 a 12:13
cf05103025
io sono il fiume,
anzi, facciamo un torrentello
27/08/2006 a 12:52
arden
E se cadono in acqua?
27/08/2006 a 13:44
cf05103025
l’acqua è bassa,
non affogano,
si bagnano
27/08/2006 a 17:23
anonimo
ma cosa ci fa un cartografo in riva ad un fiume distratto da altre correnti?
magda
27/08/2006 a 20:02
pispa
capita fin troppo di frequente.
che fra tutta la gente
ce ne saranno due
che non ti frega gnente;
che uno dei due non vede
e l’altro non ci sente.
uf.
27/08/2006 a 22:54
colfavoredellenebbie
Un cartografo ripassa sempre il corso e il decorso delle cose :))
27/08/2006 a 23:38
cf05103025
Ripassare non fa mai male,
lo disse pure Archiloco di Samo
28/08/2006 a 09:47
Giocatore
Le s-carpe!! dove sono le s-carpe? Sparite, fuggite, perdute.
28/08/2006 a 09:58
e.l.e.n.a.
s-carpe diem!…
28/08/2006 a 17:06
aitan
una cosa così a-me-mi risveglia pure i capillari
28/08/2006 a 17:12
Flounder
sto sospirando.
ahhhh…
ahhhhhh…
28/08/2006 a 17:14
Flounder
(e comunque son lieta di averla ospitata in anteprima sul mio blogghe)
29/08/2006 a 10:29
didolasplendida
oggi ho un pò di sterpaglia nel cuore toccherà rimuoverla
far posto ad erba nuova
30/08/2006 a 15:55
contorno
stiamo andando verso l’inverno, ragazzi!
31/08/2006 a 11:06
brianzolitudine
Com’è triste Venezia
abbracciato a Lucrezia
preferivo su in Svezia
quella bionda che inezia
non pareva, delizia
lei era anzi: egizia
cleopatra che inizia
ai ruoi riti e che vizia
chè lucrezia non sazia
e la sua lingua grazia
non ha e l’alito strazia,
ma ora gioco d’astuzia
le dico: vado in Scozia
a trovar la mia prozia.
31/08/2006 a 12:20
cf05103025
buon pro ti fazzia
la pròzia
di Scozia,
manda poi la cartolina
anche della nipotina
31/08/2006 a 15:30
colfavoredellenebbie
La rima con Scozia
sconvolge chi ozia,
per forza d’inerzia
si arriva in Perzia…
03/09/2006 a 00:19
rosadstrada
Carissimo Marius,
per questa poesia
brinderei con lei con un Bellavista,
ma, or come ora,
non posso permettermi che un Bellasvista…
(Alla Vostra)
04/09/2006 a 01:45
madeinfranca
In Pèrzia mi pizzica
In Svezia mi mòzzica…
mò la lascio pizzicà…
so’ lacrime d’amore,
strazi da sterpacuòre…
e, sì,
è una cosa così,
che m’è venuta
dopo che mi so’ spremuta,
da scema !
bisousots!
05/09/2006 a 23:42
cavedano
Storia d’amore e dolore.
Il generale Von Kaspenar se ne morì dentro al suo vestito di panno tirolese, ad un tavolo del Cavallino Bianco, ristorante in cui cenava ogni sera.
Aveva appena compiuto i 35 anni e da poco erano scoccate le 22, ora di Lubecca, di un mercoledì particolarmente freddo nell’inverno del 1927.
Compassionevole destino il suo, giacchè gli vennero così risparmiati i molti orrori che il futuro avrebbe riservato all’Europa, oltrecchè a lui stesso; e, in particolare, la confisca dei propri beni su ordine di un ex imbianchino logorroico, elevato al rango di Kaiser.
Ma noi non ci stupiremo di tutto ciò poiché: quanti altri fantocci hanno rimestato i destini degli uomini credendosi il forcipe della Storia, mentre ne erano, a malapena, le marionette?
Ma morì realmente il Generale?
Quando il cameriere avvertì il Maitre, costui non gli credette.
Poiché il commensale appariva eretto, gli avambracci appoggiati a lato del piatto, gli occhi spalancati, lo sguardo rivolto alla signora che gli si avvicinava..
Ma il cameriere Cornelius, addentro ai cerimoniali del mondo, comprese che quell’uomo non dovesse essere padrone di sé perchè mai e poi mai, in tanti inverni e primavere, lo si era visto rimanere seduto all’ingresso di una Signora.
Mai il Generale avrebbe rinunciato ad alzarsi, a comporre sul volto il fulgido e mesto sorriso, a schioccare brevemente i tacchi; mai avrebbe tralasciato l’esercizio di flettere il busto al di sopra della tavola fino a raggiungere la mano della dama.
Rivoltarne il dorso verso e l’alto e, graziosamente, baciarla.
Così Cornelius, primo cameriere, seduto in un angolo della cucina, dovette ripetere per molte volte al gendarme la sua versione: che nulla di nulla lasciava presagire la sofferenza in quell’uomo.
Se si vogliono escludere il numero cospicuo di steppenwolf, sigarette in quel tempo in voga fra i portuali, che Von Kaspenaur aveva fumato nell’attesa e i cui i mozziconi, sbalzati dal portacenere, giacevano ancora come dischiuse crisalidi sulla tovaglia.
Il medico, dal canto suo, non potè che constatare la morte, l’ennesima, prevedibile, noiosa Signora che ancora forniva a lui, al Dr Carl Kraus, il pane.
Seppure al prezzo di qualche voltastomaco.
Anche se, questa volta, la routine appariva incrinata da qualche crepa: l’espressione del deceduto ad esempio, come di chi stia sorridendo, poi la postura del busto eretto, infine l’insolita collocazione della sigaretta, appena trattenuta fra le ultime due dita della mano sinistra .
Ma quante non ne hanno viste i medici dell’età del Dr. Krause!
Il seguito, anche il seguito, si consumò scorrendo lieve, senza incagli, in un flusso discreto e rapido di piccoli adempimenti e minuscole azioni.
Il corpo, ricoperto di un pastrano rosso, venne adagiato dai barellieri su una portantina improvvisata e trasportato fuori.
E riprese il brusìo della sala; qualche bicchiere venne riempito e vuotato d’un fiato, estratta qualche boccetta di sali per richiamare lo spirito delle dame in deliquio.
Quando, più per cancellare la memoria dell’accaduto che per impellente necessità, Cornelius prese a sparecchiare la tavola, ecco che si ricordò di quella signora del suo passo di tigre e dell’oggetto che splendeva sul nero della toilette di lei come una stella esplosa sotto il firmamento del decoltè…un barbaglio appena, intercettato e subito convogliato nell’ansa della sua memoria di quieto osservatore.
Il tutto era accaduto mentre avvicinava gli occhi a fissare il viso dell’uomo esanime e la mano gli andava al torace.
Immobili entrambi, come il polso.
Ora sì che ricordava tutto.
Ora ricordava d’aver percepito dietro a sè quella presenza; nei meandri della sua memoria emerse un singulto e un fruscio di stoffe come di chi si stesse allontanando.
Ma noi conosciamo ciò che né Cornelius né la folla sa.
Noi, che conosciamo il nome del vino ordinato e il nome della donna, noi abbiamo fiutato il bicchiere prima ancora del medico e del poliziotto.
Nessun odore di mandorla amara, nessun veneficio: solo la fragranza di vaniglia di uno Chateau Lafitte, ottima annata.
E nemmeno cara per quei tempi d’inflazione al galoppo:1 milione di marchi.
Ascoltate ciò che avvenne.
Avvenne che in quella sala, prima che vi facesse la sua entrata la morte, ancora prima di questo, in quella sala già si era installata un’altra forza più potente della morte stessa.
Quale forza?
L’Amore, Signori..
Perché l’Amore è dunque più forte della Morte?
Noi conosciamo la risposta e siamo qui per proclamarla.
Perché il Generale non morì affatto, malgrado il suo corpo apparisse esanime.
Malgrado il referto medico.
Infarto fulminante cosa vuol dire? Che il cuore si è arrestato e con quello la vita.
Ma il generale non è di questo avviso.
Il generale si trova ancora là seduto sulla seggiola( ignorate le apparenze) col retrogusto del vino in bocca, che ripassa nella mente la propria recente vicenda umana, scandita per anni da lettere chiuse a chiave nel cassetto del trumeau.
Lettere di un amore passato, finito.
Lettere tracciate con la grafia che disegna la parabola di un sentimento che, arrivato al sommo del brillìo là è deflagrato .
Lettere che conosce a memoria come un bambino la poesia.
All’ultima missiva è seguito un silenzio di due interi anni.
Settecentotrenta giorni in cui Il generale Von Kaspenar ha continuato la vita di sempre, concludendo la giornata al medesimo tavolo.
Unica novità: ha incominciato a fumare.
Ma ecco che dopo due anni è giunta un’altra lettera.
Questa:
Amore, Amore mio.
Ti ho veduto ieri al solito tavolo. Solo il caso ha potuto riportami in questa città da cui sono fuggita assieme a mio marito.
Affido questo scritto a persona di fiducia e so che ora tu stai leggendo e anche tu sai.,ora lo sai, ciò che io so da sempre: io ti amo .
Non giudicarmi crudele: sono soltanto una piccola donna vile fuggita davanti alla felicità.
Vedi? ..per una volta non mi faccio schermo di nulla.
Perdonami, ma vorrei parlarti perdendomi , per un momento ancora, dentro ai tuoi occhi.
Perché come potrei col solo inchiostro narrarti dei mesi immensi, del brusio affannato dei giorni, dello spasimo dei minuti, del flagello degli attimi senza di te?
Io debbo rivederti, l’ho capito, e non sarà George, il mio povero, caro George, ad impedirmelo.
Domani sera verrò al Cavallino.
Se vedrai su di me il pegno d’amore, il tuo, che conservo d’allora, se lo vedrai appeso al mio collo, allora saprai che questa volta non me ne andrò più.
Ma io parlo come se, nel frattempo, tu non possa essere mutato…ma questo me lo diranno le tue labbra.
Altrimenti sarà solo un saluto….. ma si può forse salutare l’amore?
Se sì lo faremo fumando una sigaretta assieme.
Ricordi le steppenwolf, come mi piacevano?
Ricordi come mi prendevi in giro per quel mio modo affettato di sostenerle fra l’anulare e l’ultimo dito?
Come farfalle cui non si voglia nuocere, dicevi.
Ricordi?
Il generale è là e vede lei avanzare; lei, galassia di perfette molecole che lo investiranno, meravigliosa costellazione di atomi scomposti e ricomposti nelle molteplici configurazioni di una danza sempre iniziata e mai finita.
Infinitamente lei avanza, ed infinite sono le parole Von Kaspenar ripassa, ancora e ancora, nella mente, parole tracciate su fogli ingialliti, così come infiniti sono i bagliori che la memoria gli apparecchia e innumerevoli le disposizioni che traccia nello spazio il diadema galleggiante sull’onda del seno di lei; infiniti i raggi che gli smeraldi dardeggiano sui lampadari e i bicchieri e gli specchi e i monocoli nella ragnatela di luce.
Lei è lì che avanza e con lei procede, nel sinusoide infinito, l’eterno gioiello.
Il generale è lì che sorride, fuma e guarda .
Dentro al tempo ignaro.
06/09/2006 a 06:58
pispa
bello.
06/09/2006 a 08:27
cf05103025
Mi è piaciuto parecchio,
c’è dentro un dr. Kraus o Krause che ho visto unavolta e il gen. Von Kaspenar mi pare di averlo incontrato a Tortona….
06/09/2006 a 08:45
pispa
che bella quella parola, il deliquio, com’è decadente
ci vorrebbe un po’ di assenzio, per gustarla.
07/09/2006 a 08:18
rael_is_real
o un bel piatto di bughe e poi friscioi.