Ricordo di Gino Tasca
Circa un anno fa, il 22 agosto 2005, è morto il nostro amico Gino Tasca.
Dico nostro perché di noi cartografi Gino era parte:
Gino aveva il suo numero: cf10152520 e pure il suo proprio blog: lordchandlos.splinder.
Il suo numero sta ancora scritto qui a sinistra e ci resta finché questo sito va avanti.
Quest’uomo ci manca moltissimo.
Dico ancora nostro perché in tanti l’abbiamo conosciuto attraverso la rete partendo alla fine 2000 da quella fucina o sentina di vizi e virtù che fu il forum della Holden.
In tanti amici l’abbiamo nel cuore.
Alcuni hanno avuto il piacere di conoscerlo di persona, io pure, per fortuna, e voglio dire che era un uomo bello di dentro e di fuori e mi addolora ancora moltissimo che non sia più con noi perché era generoso, era un grandioso dispensatore di sé stesso, pieno di voglia non solo di dire, di esprimersi e di scrivere ma anche di confrontarsi.
Aveva finito la sua carriera di lavoro pensando, sperando di potersi dedicare tutto al mondo della “scrittura”, di tuffarsi, donarsi, immergersi in questo mare di insiemi di pensieri, parole; aveva una straordinaria, inesausta voglia di conoscere e di cimentarsi e di usare la narrazione come mezzo di ricerca, non solo letteraria, ma anche come strumento di indagine interiore, alla ricerca del SÉ.
Negli ultimi anni di vita aveva scritto moltissimo, anche negli ultimi mesi aveva lavorato “nelle tregue della malattia” e molti sono i racconti suoi ancora visibili in rete, sia sul suo blog sia su altri siti.
Era un buon scrittore: alcune cose sue non mi piacevano, ma valeva davvero la pena leggerlo, discuterci e parlare per ore con lui: se fossi stato un editore l’avrei pubblicato al volo.
Un cosa sola mi consola dopo la sua perdita: il suo validissimo romanzo “Isaia Greco” uscirà in autunno per la Pendragon di Bologna, speriamo pure che alcuni dei suoi racconti vengano stampati da altra casa editrice che li ha apprezzati.
Io so che non ho perduto uno scrittore, ma un amico sì, ed un persona buona soprattutto, molto rara, molto amata dalla propria moglie, dalla famiglia che ha tanto sofferto con lui.
Valeva la pena volergli bene.
Non ho ora su questo pc dei suoi scritti, ma presto ne recupererò, da altro archivio, uno del 2002 che mi piacque moltissimo e lo aggiungerò qui.
MarioB.
***
Gino Tasca – Racconto sotto la neve – 2001
L. W. stava morendo ma era quasi certo che, ormai, non gliene importasse più niente.
Così aveva dato ordine a Miss Herbert (era la sua domestica) di non entrare più nella sua stanza da letto se non per portargli il caffelatte al mattino e, anche se a quella le si era inasinito il muso, poi non aveva più cambiato la sua decisione.
Occuparsi di polvere o di lenzuola pulite ora che sapeva con assoluta certezza che tra un paio di giorni al massimo sarebbe morto?
L’essenziale era che riusciva ancora a trascinarsi al bagno dove con enorme fatica si sedeva sulla tazza e attendeva che la pancia sconclusionata lo umiliasse con le sue puzze e i suoi quartetti mentre la prostata diventava un puntaspilli dolorante.
Il cancro gli aveva fatto questo regalo – questo suo corpo che ora sentiva così bene perchè gli si era mutato in cattiveria pura (quando altro lo si percepiva così bene? Nel coito forse e forse, anche, nel pensiero …)
Ma aveva deciso che basta cocaina basta di tutto questo basta …
Dopo si spruzzava un po’ d’acqua sulla faccia e tornava di là senza guardarsi allo specchio.
L’ultima volta che l’aveva fatto per poco non era scoppiato a ridere.
E con quella sua piccola voce diventata tremula come un budino, aveva accennato a un’aria d’opera ed aveva pensato che la morte era così terribilmente melodrammatica e si era anche pianto un po’ addosso.
Per lui che aveva passato la vita a cercare di capire perché le parole non significassero quasi mai quello che dovevano dire, quella realtà quasi banale: lui che stava per morire, si metabolizzava solo in parole insignificanti e quasi psicotiche.
Come quella musica o come quella volta che s’era messo a contare quanti giornali non avrebbe letto nei prossimi dieci anni o come quella volta che si era messo a ridere isterico perché si era chiesto se la morte si fosse sbagliata.
E un’altra volta ancora aveva cominciato a leggere la "Divina Commedia" dall’ultima parola e senza sapere nulla d’italiano.
E, intanto, continuava a scrivere.
Oscillando disattento fra un dolore lancinante e un brulichio di cose inconsce come quando il sonno si appropria dell’attenzione mentre leggi a letto e tu resti con gli occhi aperti ma verso l’interno e dopo un po’ t’accorgi dell’enorme fatica che ti costa far finta di essere sveglio.
Stava scrivendo una singola frase ma la riscriveva molte volte al giorno quando non era troppo alle prese col dolore o con quel pettegolezzo inconscio (forse stava, ad intermittenza e senza accorgersene, precipitando nel coma.)
La frase era questa "bisogna far posto al "male", bisogna arrendervisi perché solo così si sarà compiuta l’opera da compiere e quello che resterà sarà la grazia."
Ma prima c’erano state così tante versioni di cui non ricordava che sbrindellature.
Quel "far posto" – per esempio – era stato "accettare", "dire di sì", "non ostacolare", "aprirsi". ("Vomito d’Heidegger" s’era detto)
Non aveva mai esitato sul "male" (aveva forse altri nomi?) e su "grazia" perché "felicità" era indegna del suo dolore e "godimento" gli ricordava coiti senza serietà.
Ma quella mattina era il 27 aprile ed era nevicato tutta la notte.
Curioso. Anche Miss Herbert che sulle vicissitudini del tempo era più infallibile d’un papa cattolico apostolico romano, aveva dichiarato che d’aprile non era mai, ma proprio mai, nevicato. E mentre lo diceva metteva giù il vassoio con il caffelatte e lo guardava con l’aria di voler scoprire come diavolo avesse fatto.
L. W. aveva sorriso ed aveva pensato che le altre volte lui non stava mica morendo e la neve sera sempre stata una sua cara amica.
Aveva preso fra le mani il vecchio quaderno su cui andava scrivendo le variazioni di quell’unica frase e che quasi gli era scivolato via tanto la presa della sua mano magrissima era esausta, e se l’era stretto contro lo sterno. E aveva deciso che non avrebbe più scritto nulla perché non c’era più nulla da scrivere perché non c’era mai stato nulla da scrivere perché non si poteva far altro che scrivere.
Poi aveva guardato fuori il pesco coi fiori bianchi. Ma era neve o erano fiori?
Il giorno dopo – quando Miss Herbert era arrivata davanti alla casa, alle sei come tutte le altre volte – aveva trovato solo un’enorme cumulo di cenere ed aveva pensato che sì, in fin dei conti, quell’uomo non le era mai piaciuto.
19 commenti
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20/08/2006 a 19:28
anonimo
bene, solo che la foto io non la vedo proprio.
pispa
21/08/2006 a 01:19
anonimo
21/08/2006 a 08:07
arden
Ecco Padova, via Roma con la neve.
21/08/2006 a 08:45
pispa
e quelli sono i passi di Gino che s’allontana sorridendo e parlando, affabulando direi 🙂
21/08/2006 a 12:33
sambigliong
bene
(remo)
21/08/2006 a 16:05
colfavoredellenebbie
Io, di Gino Tasca, ho saputo dopo e l’ ho letto a ritroso, colpita da una cosa scritta da Mario.
E torno a leggere.
Contenta che ci possa essere il libro.
21/08/2006 a 18:04
cf05103025
Grazie Anna, della foto, era quella che avevo messo,
poi svaniva,
guarda caso,
Gino abitava al 22 di Via Roma
22/08/2006 a 16:45
sambigliong
è bello quello che hai scritto, è bello quello che aveva scritto pispa, giorni fa.
sarà contento, lui, di voi.
(remo)
22/08/2006 a 21:01
colfavoredellenebbie
Leggo e penso al Canto della neve silenziosa, di Selby jr, a come la malattia possa oscurare e insieme ridefinire il contorno delle cose, assegnare utilità e inutilità.
23/08/2006 a 08:46
anonimo
“perchè non c’era più nulla da scrivere perchè non c’era mai stato nulla da scrivere perchè non si poteva far altro che scrivere. Poi aveva guardato fuori il pesco coi fiori bianchi. Ma era neve o erano fiori?”
Avrà poi visto la neve?
Credo di sì.
anya
24/08/2006 a 09:38
madeinfranca
per quel poco letto -più ascoltato-di Gianni Tasca mi dicevo se dovesse essere necessaria… la conditio che viveva, per scrivere, per descrivere, per usare “parole che…significassero…quello che dovevano dire”…
e forse no…
era -tout court-
una persona sensibile …
senza abuso di questo attributo.
24/08/2006 a 11:45
arden
Straordinario questo scritto di Tasca.
24/08/2006 a 17:13
pispa
questo non l’avevo mai letto, anche perché l’ha scritto nel 2001.
lui è morto nell’agosto 2005.
il perché di questa orribile pre-visione lo si può immaginare..
però sono sconcertata lo stesso.
bello, come al solito i suoi scritti.
25/08/2006 a 08:03
fuoridaidenti
E’ bellissimo questo post a mio modesto avviso perché lo sarebbe pure se si riferisse a un personaggio immaginario.
25/08/2006 a 08:05
pispa
ma forse è anche un po’ immaginario, no?
26/08/2006 a 21:17
cf25302015
mi mancano l’intransigenza di Gino e la sua capacità di indignazione.
é passato un anno.
Era estate.
29/08/2006 a 13:08
anonimo
La neve e il pane, Gino.
Giovanna
15/02/2012 a 00:31
Giordano Boscolo
Un mio ricordo di Gino Tasca, ora che anche il suo blog è sparito.
15/02/2012 a 16:31
neocartografi
Grazie molte, Giordano Boscolo del ricordo!