Il nostro di dentro è luogo oscuro, la nostra cantina o caverna sia fisicamente che nell’insieme. Qui sta tutto la nostra origine, i lieti giorni, remoti urli, paure terribili, aspirazioni, peli, denti, ferite, squarci, intuizioni la possibilità potenziale di sviluppo della specie, tutto.
E’ pure la nostra stanza del tesoro.
Perché la cantina è il luogo chiuso in cui vengono riposti il vino o le provviste e può essere pure stanza del tesoro: per esempio, nel primo Tempio di Gerusalemme una stanza serviva per raccogliere il prodotto delle decime. Si parla anche di cantine del secondo Tempio in cui gli Israeliti dovevano portare le offerte.
Sul piano spirituale la parola cantina ha un senso mistico ben preciso: Bernardo di Chiaravalle dice che lo Spirito Santo conduce l’anima nella cantina per farle prendere coscienza delle sue ricchezze. La cantina corrisponde così alla conoscenza di sé o del Sé: l’anima che si conosce esercita la carità verso gli altri, dà ciò che possiede e evita di conservare per sé i benefici ricevuti. Assapora il vino contenuto nella cantina e gusta il nutrimento spirituale. Cantina ha qui il senso di interiorità, di stanza del segreto.
Come Caverna è archetipo dell’utero materno, la caverna è presente nei miti di origine, di rinascita e di iniziazione di numerosi popoli.
Col termine generico di "caverna" si indicano anche le grotte e gli antri, anche se non sono perfettamente sinonimi; con questa parola intendiamo un luogo sotterraneo o rupestre, chiuso da una volta, più o meno infossato nella terra o nella montagna, più o meno oscuro; l’antro sarebbe, invece, una caverna più oscura e profonda, all’interno di un anfratto, senza apertura diretta alla luce. Lasciamo da parte la tana, riparo delle bestie selvatiche o di briganti, il cui significato è una degradazione di questo simbolo.
Di questa Caverna/antro pericoloso che ci riallaccia e ci fa consapevoli delle nostre primordiali radici si tratta nel mito poco conosciuto di Agamede e Trofonio da cui riporto qui un sunto tratto da un discreto Dizionario dei simboli della Bur di J.Chevalier & A.Gheerbrandt:
L’antro di Trofonio, anticamente molto celebre, può infatti essere considerato uno dei simboli più perfetti dell’inconscio: Trofonio, re di una piccola provincia e illustre architetto, costruì con il fratello Agamede il tempio di Apollo a Delfi. Successivamente furono incaricati dal re Hyrieus di costruire un edificio dove custodire le sue ricchezze ed essi vi aprirono un passaggio segreto per rubarne i tesori; Hyrieus, accortosene, tese loro un’imboscata e Agamede cadde in trappola. Non potendolo liberare – e non volendo rischiare di essere riconosciuto per la somiglianza con il fratello -Trofonio gli tagliò la testa per portarla via con sé, ma fu subito inghiottito dalle viscere della terra. Anni dopo la Pizia, consultata per mettere fine a una terribile siccità, raccomandò di rivolgersi a Trofonio e ne localizzò la dimora in un antro in fondo a un bosco. La risposta del re-architetto fu favorevole e, da allora, l’oracolo fu molto frequentato, anche se lo si poteva consultare solo dopo aver superato prove terribili: un seguito di vestiboli sotterranei e di grotte conduceva all’entrata di una spaventosa caverna, che si apriva come un’oscura cavità, fredda e senza fine; il consultante vi discendeva tramite una scala che portava a un altro cunicolo con un’apertura molto stretta in cui egli si introduceva a fatica, i piedi in avanti, scivolando così precipitosamente fino in fondo all’antro. Al ritorno, veniva fatto risalire assai velocemente, la testa in giù e i piedi in alto, grazie a una macchina invisibile. Per tutto il tempo, egli teneva in mano dei dolci di miele, che gli impedivano di toccare la macchina e gli permettevano di placare i serpenti che infestavano quei luoghi. Il soggiorno nell’antro poteva durare un giorno e una notte: gli increduli non rivedevano più la luce del giorno, mentre i credenti a volte udivano l’oracolo e, ritornati alla superficie, venivano fatti sedere su un sedile chiamato Mnemosine (la dea della memoria) e raccontavano le terribili esperienze provate, da cui sarebbero rimasti colpiti per tutta la vita. Si diceva comunemente delle persone gravi e tristi: "ha consultato l’oracolo di Trofonio".
Il complesso di Trofonio, che uccise il fratello per non essere riconosciuto colpevole, è il complesso delle persone che rinnegano il proprio passato per soffocare dentro di sé il senso di colpa; ma il passato inscritto nel fondo del loro essere non può essere cancellato e continua a tormentarli, sotto diverse forme (serpenti ecc.) finché non sono disposti ad accettarlo come parte integrante di se stessi. La caverna rappresenta l’esplorazione dell’io interiore, in particolare dell’io primitivo, rimosso nelle profondità dell’inconscio. Per quanto siano differenti, possiamo collegare il fratricidio di Trofonio a quello di Caino: la traccia immemorabile dell’assassinio ossessiona l’inconscio e viene raffigurata dall’immagine della caverna.
13 commenti
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03/06/2006 a 10:41
Arry
Miao miao….
Venite tutti a trovarmi?!
Un sorriso enigmatico
Lo Stregatto
03/06/2006 a 11:10
shemale
“Il complesso di Trofonio, che uccise il fratello per non essere riconosciuto colpevole, è il complesso delle persone che rinnegano il proprio passato per soffocare dentro di sé il senso di colpa; ma il passato inscritto nel fondo del loro essere non può essere cancellato e continua a tormentarli, sotto diverse forme…”
Non conoscevo il complesso di Trofonio, Mario. Ne vado subito a parlare con qualcuno che ne soffre. Potrebbe essegli utile. Non so quando torno (si tratta grosso modo di un duecento, trecentomila persone).
03/06/2006 a 13:10
cf05103025
Fai pure, Daniè,
compi la tua missione….
03/06/2006 a 17:31
anonimo
DOMANDA:
03/06/2006 a 17:36
anonimo
quella rappesentata nella foto, è l entrata o l uscita delle grotte di FRASASSI? oppure la memoria m’ inganna..
occhinegliocchi
03/06/2006 a 17:44
cf05103025
Antro della Sibilla cumana,
a Cuma, presso Napoli
03/06/2006 a 23:25
anonimo
allora per questo mi piace … ogni caverna: sono io.
🙂
05/06/2006 a 00:38
anonimo
E poi c’è il mito della caverna di Platone. Ma non c’entra con il discorso. vabbè.
saluti
05/06/2006 a 12:29
pispa
ho una cantina bellissima, dove ripongo armi per uccidere gli animali, ma solo per cibarmi.
non c’è pensiero di Caino, ci sono solo molte ragnatele in cui di notte vedo strani disegni alla scarsa luce lunare che filtra, qualche raggio qua e là.
la cantina è il mio posto dove mi sento sicura, dove non ho bisogno di niente se non lo stretto necessario.
sgorga acqua da una fessura della roccia, questo mi basta.
e sopra, all’esterno, c’è il nido di un’aquila che imbecca i suoi piccoli.
e mi dà senso di protezione questo grande essere alato e coraggioso, anche se di protezione forse non c’è bisogno.
ma ogni tanto nella caverna c’è inquietudine, ogni tanto c’è bisogno di uscire, di vedere e sentire i raggi del sole, di scaldarsi.
perché nella caverna c’è tutto, acqua e cibo e anche sogni.
ma quello che ti può dare l’altro, quello non c’è, bisogna uscire per conoscerlo, altrimenti la cantina diventa un oscuro antro pieno solo di pensieri.
quando ho preso il sole sulla pelle e sentito cantare e gracchiare e muggire e scalpitare gli animali intorno, allora la caverna è quel comodo rifugio per la notte e per la pioggia.
guardo dall’entrata quel fantastico panorama, la valle dell’Eden che si stende verde e pasciuta là in basso.
e mi sento sicura così, protetta dalla valle accogliente e dalle pareti di pietra sopra la mia testa.
fuori c’è la luce e dentro entra il sole, il buio è attraversato da raggi obliqui.
preparo un fuoco piccolo, e aspetto che venga primavera.
05/06/2006 a 13:13
cf05103025
che bella storia,
pispa,
anch’io nell’Eden voglio tornar
07/06/2006 a 10:03
pispa
tu te lo ricordi l’Eden?
07/06/2006 a 11:51
cf05103025
sì
14/06/2006 a 23:52
Flounder
litigano, gli abitanti dei pressi del lago d’averno, con quelli di cuma, per attribuirsi la paternità e la maternità dell’antro della sibilla.
c’è infatti un lungo cunicolo scavato nella roccia che porta da averno al lago di lucrino.
pare che servisse per mobilitare rinforzi e vettovaglie da un lago all’altro, durante le guerre.
ma gli avernati no, non vogliono proprio sentir ragioni: la sibilla è loro e basta.