Mi ha stimolato alla riflessione il manoscritto trovato da Anna, http://manginobrioches.splinder.com/, sulle cantine sue, sui sospesi ed immersi, sul nascosto, l’occultabile e il rimosso.
E’ che a me le cantine sono sempre piaciute, anzi e meglio non solo le cantine, anche gli incavi, i ripari sotto roccia, le grotte, les caves, gli armadi profondi, le nicchie, gli anditi nei muri, i passaggi segreti. Infatti per circa anni cinque ho fatto parte di un gruppo speleologico del CAI.
Tutto questo subterraneo e oscuro fin dall’infanzia mi attrae e non è che non ami il sole anzi detesto i cieli grigi, plumbei, nordici, quei posti dove il sole è sempre lì a mezz’asta.
Per dire a Edimburgo o San Pietroburgo non abiterei mai. A Palermo e a Barcellona, sì.
Però mi attira l’andare sotto la terra, i muri e nei buchi, anche nelle crepe e negli interstizi.
Un volta, ero infante di anni quattro i miei genitori, non mi trovarono più nel loro negozio di stoffe e sartoria: ero lì che girellavo e ad un tratto ero sparito; avevano un bel chiamarmi nei tre ambienti del negozio, urlare in strada, nel cortile: niente, non saltavo fuori, ansie e disperazioni di mia madre. Poi Michele, il coupeur, si mette ad aprire tutti gli armadietti sotto le scansie e mi trova beato, addormentato tra pezze di stoffa per paletot.
Naturalmente mi presi più di uno scappellotto.
Una volta avevamo una bella casa in campagna con vaste cantine + un cantinino profondo scavato nel tufo, detto “crutìn”, freschissimo, il sancta sanctorum della cantina, ove si tenevano le bottiglie migliori e i cibi cucinati da conservare, o un coniglio spellato, un gallina spennata appeso ad un gancio rugginoso tipo galera dell’Inquisizione. Quel crutìn grondante umidità, che aveva fatto paura a mio padre e ai suoi fratelli, a me piaceva; mi eccitava penetrarci dalla semioscurità delle cantine vere e proprie. Dopo aver scostato un cancello cigolante ed aver acceso una candela infilata in una bugia contadina, fatta di una spirale di ferro nero e un pezzo di legno tarlato, si scendeva per questa scala erosa e si intravedevano nicchie ai muri in cui stavano bottiglie e pintùn anche da 4, 6, 12 litri, a volte ancora pieni, appartenuti ai nonni del nonno: Steu, Mini, al grand Carlìn, al barba Flùp.
Al termine della discesa ci si trovava in un ambiente quadro con panche incavate sui lati e vasti ripiani su cui riposavano altre “bute” più recenti, del nonno, di mio padre e dei miei zii. Io ci scendevo lento, facevo attenzione, gli scalini scavati nell’arenaria erano smangiati da secoli, toccavo i muri e sentivo sotto le dita le gocciole della condensa sul tufo ormai pulverulento.
Il peggio ed il meglio era quando scivolavo: mi cadeva la candela che si spegneva, battevo una culata, mi infangavo e poi era che dovevo recuperare il cammino a tastoni, ciò mi spaventava ed eccitava insieme, diventavo in un flash il piccolo protagonista di un avventura favolosa: l’archeologo perduto nei meandri della tomba del faraone Tutmosis, mi mancava solo un revolver al fianco ed uno Stetson, tipo Indiana Jones, in testa.
Quando riemergevo alla luce, però, non ero nella Necropoli di Tebe ma in un’assolatissima aia monferrina ove mia madre vedendomi tutto sozzo di terriccio mi inseguiva con una ramazza….
Infatti divenuto adolescente, sempre per la fissa mia dei sotterranei e dell’archeologia mi munii di scalpelli e mazza + lungo filo elettrico e lampadina e intrapresi là sotto, nel crutin, tutta una decorazione in bassorilievo su due pilastri ai lati dell’arco finale; mi imbacuccai di vecchie giacche, stivali e berrettone e nonostante mio padre dicesse che ero matto e mia madre temesse fortemente per la mia salute, io rimasi là sotto per ore, facendo turni per non congelarmi.
Feci pure due facce brutte con barbetta che avrebbero dovuto somigliare a due faraoni.
Mi divertii abbastanza ed a mio padre piacque il risultato, pure a mio zio Cirillo che di arte la sapeva lunga, però anche lui diceva che ero matto.
Tanto io l’ho fatto lo stesso, il lavoro che volevo.
Pochi anni dopo ci fu una pioggia torrenziale che allagò anche il crutìn e dovemmo svuotarlo con le pompe e i mie bassorilievi cominciarono ad ammuffire. La casa fu venduta e demolita poi, pochi anni dopo e credo che il crutìn sia stato riempito di macerie.
Io non ho visto e non ho voluto sapere niente.
Se no mi sarebbe venuto uno sciupùn.
(sopra, una magnifica incisione del grande Piranesi)
16 commenti
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28/05/2006 a 18:05
pispa
ohi,
anche a Verucchio, sotto la casa dei miei nonni, c’è la cantina enorme scavata nella terra e nella roccia.
di fianco alla scala ci stava un tino grande per pigiare l’uva tutti insieme.
girato l’angolo, tre gradini e si arrivava al fondo: un’altra grotta più in basso con l’unico accesso dalla parte del monte e una piccolissima aia di fronte al Marecchia.
Ci tenevano i polli, credo.
A destra un’altra discesina, e c’era la grotta: un cunicolo buio e fangoso, più stretto con il soffitto a cupola, si camminava dentro un po’ bassi e c’era molto freddo e umidità.
Provammo più volte ad andare avanti nella grotta, con varie spedizioni di cugine e cugini in vacanza.
i vecchi non sapevano dove finiva esattamente.
e a un certo punto si spegneva la candela, provocando fifa urletti e fughe di tutte le femmine (noi non avevamo il lazo né la Smith&Wesson e paura degli scorpionazzi che c’erano).
in paese s’è sempre detto che sotto le case c’erano cunicoli comunicanti, che dal castello dei Malatesta arrivavano alla Collegiata, dalle suore.
Per dare modo di fuggire agli amanti e ai nobili del castello, in caso di agressione militare o di mariti rientrati troppo presto.
secondo me là sotto c’è ancora un pezzo di broccato, appartenuto all’abito di Francesca da Rimini.
Uncinato da un pezzo di roccia mentre fuggiva dal marito, scoperta in flagranza di adulterio sulle panchine della Fratta tutta avvrazzata al sò frate.
e pure la pagina del libro galeotto, chi lo sa?
o forse il colletto in pizzi e crinoline di Emanuèl Rodriguéz, sfuggito dal mucchio del bucato mentre la fantesca correva sù e giù per le scale.
il nonno rideva sotto i baffi quando ne parlavamo..
29/05/2006 a 08:54
shemale
Ti aspetto. Più o meno da dove abito io si dipartono 12 chilometri di cave calcaree, interstizi, sacelli, abitazioni, mole nella roccia e antiche chiese rupestri (la cosiddetta Cava di Ispica). Possiamo andare a infilarci lì.
Fammi sapere quando arrivi.
29/05/2006 a 12:03
Effe
lo ricordo
ma non è un ricordo di mente, solo di corpo e pelle
certi freddi d’oltretomba di alcuni crutìn (cantinette) di campagna, mentre fuori c’era un caldo che mordeva gfli stinchi, e sembrava fosse un soffio dal centro della terra a gelarci mani e pensieri.
29/05/2006 a 18:15
manginobrioches
perché non è essere propriamente nemici del sole e dell’aria, che ci spinge nelle cantine, e più oltre. tutt’altro. i più affamati di luce, tra noi, sono quelli più curiosi del sottosuolo, e più ancora del nostro addentrarsi curioso, del brivido, dell’impossibile arte rupestre dei colori a tempera e della paura, e la speranza di trovarci tracce d’altri, come noi. le cantine ci conservano, e sanno raccontarci. quelle riempite, comunque, avranno una storia nella pancia.
30/05/2006 a 14:28
anonimo
Questo argomento di Anna – per contrasto, mi ha ricordato che la Gertrude Stein riferì che Picasso, amando stare in case antiche, dicesse “a discolpa” all’incirca: “è perchè sono molto moderno io, che voglio stare in una casa antica” e lei forse (ma non ci giurerei) aggiungeva che una casa moderna sarebbe comunque stata troppo vecchia per Picasso.
Associazione di idee … caverna, la casa più antica … ancora un riferimento colto : Rikvert ne “La casa di Adamo in Paradiso” racconta delle idee dei trattatisti circa gli archetipi di casa, nei vari filoni :
caverna – piramide
capanna – tempio
ecc.
30/05/2006 a 14:33
anonimo
Joseph Rykwert, non Rikvert.
Che nome assurdo … magari si chiamava Braun, e lo ha cambiato per avere successo 🙂
30/05/2006 a 16:34
cf05103025
difatti, il signor Pablo Picasso amava trasformare i suoi studi in specie di antri da rigattiere o cantine. Quando cominciò ad avere abbastanza soldi si comprò parecchi mobili vecchi anche sgangherati, e baracche varie, un divano scassato che lui amava moltissimo, che rimase nella sua ultima casa in un satanz dove non voleva entrasse nessuno.
30/05/2006 a 16:41
cf05103025
caro Daniele, ti dico che davvero vorrei visitare le cave di Ispica, spero di ritornare presto in Sicilia e pure visitare la necropoli di Pantalica
30/05/2006 a 19:05
cf25302015
le cantine mi ricordano le botti e il pavimento scivoloso e salami appesi e umidità e paura di scorpioni o pipistrelli, chissà.
preferisco le soffitte, polverose, calde, piene di bauli e armadi e sorprese e una finestra in alto a guardare il cielo.
30/05/2006 a 19:37
cf05103025
In certe cantine alpine di baite o grange si tengono e maturano fontine e tume,
si annusa un certo profumo forte, simile a stalla….
30/05/2006 a 20:01
colfavoredellenebbie
C’erano case, in campagna, grandi senza essere ricche. Lì, sul dietro, sul cortile delle donne, quello con le ortensie, i gigli di san luigi e le creste di gallo, dava la cantina.
Era uno stanzone molto grande, o almeno così sembrava ai bambini.
Bisogna scendere di un gradino rispetto all’andito e trovavi il battuto, non il pavimento, e l’odore del salnitro sui muri che è freddo e sa di pizzico, perchè nasce da una barba bianca.
Lì, in cantina, ci stavan le cose a maturare e a rinfrescarsi: i cachi con le mele, le uova nella calce, le fiasche di mosto e di vin cotto, le cipolle che tentavano il germoglio, il salame cominciato, perchè a stagionare andava altrove. Era come entrare nel portafogli della casa, che sapeva di grasso un po’ rancido e di olio, di agro e di mela campanina.
30/05/2006 a 20:03
colfavoredellenebbie
che poi era da scriver “bisognava”, ma nelle cantine il tempo fa quel che gli pare e via.
30/05/2006 a 22:22
rosadstrada
Caro cf,
ti faccio notare che caverne, antri, grotte, spelonche, secondo l’opinione di numerosi ed eminenti psicologi, rappresenterebbero per l’uomo, sul piano simbolico, l’organo sessuale femminile…
…Seguendo la linea di analisi di Hilgard questo tuo post si riassumerebbe nella manifestazione di un meccanismo di difesa in funzione adattiva, la “SOSTITUZIONE”, ovvero la “capacità di trovare vie alternative, socialmente accettabili e in grado di soddisfare il bisogno di espressione di certi impulsi primitivi”…
TANA?
30/05/2006 a 23:11
cf05103025
Non ho nessun dubbio e ti credo,
o rosa,
è che quando uno parla di tane o grotte parla di tane,
quando parla di vagine parla di vagine,
ci vuol mica tanta paura a dirlo.
Però, potrei dirti, interpretando, che potrebbe rappresentare anche il desiderio mio, e non solo mio, di voler tornare nell’utero primigenio, luogo caldo e protetto,
così è se ti pare.
30/05/2006 a 23:48
rosadstrada
Caro cf,
non prendermi mai troppo sul serio:
questo mio commento voleva semplicemente essere una manifestazione della mia attenzione e vicinanza,
ma,
soprattutto,
una provocazione che aveva quale scopo quello di suscitare un sorriso!!
:-)))
Personalmente posso dire di essere stata psicanalizzata per la bellezza di 6 anni e mezzo e di non averne tratto alcun beneficio, anzi.
Sono anche io per l’utero primigenio, caldo e protetto.
31/05/2006 a 08:14
cf05103025
Allora, benissimo,
ci metto pure un seguito, cantine.2, tra poco,
poi magari scrivo un cantine.3 di carattere più fisiologico,
cioè più antrofisico,
ecco,
poi facciamo ‘o sequel,
la telenuvela dle crote